sabato 3 novembre 2012

You may say i'm a dreamer...but...


La metropoli è una donna discinta sdraiata su un fianco, con gambe leggermente inarcate e braccia spiegate come ali al vento. Ella indossa un abito leggero e sfuggente, di quel colore che ancora non ha nome (come poche cose su questa terra e  nello spazio compreso tra sassi e cielo – lo spazio dell’anima, s’intende), che si ottiene come per un’alchimia di gesti, sguardi, movimenti, aspettative e curiosità quando da piccoli si mescolano insieme, velocemente, con un pennello da pochi centesimi, tutti i fluidi colorati delle proprie tempere, un grigio violastro che non si potrebbe definire azzurro ma che non è neppure castano, a ben guardare. I capelli di questa donna addormentata sono le vie, i sentieri, i percorsi, i passaggi, i ponti, le scorciatoie, le strade intricate e non, le rotaie rosso rame e rosso ruggine di una ferrovia; i suoi fianchi segnano il confine indefinibile del mondo abitato, il bordo oltre il quale l’uomo sapiens con la sua scienza statica ed esatta e i suoi calcoli perfetti smette di dettare le proprie leggi e la natura, dea madre di ogni animato agglomerato di battiti/occhi/sogni/paure scorrazzante sulla faccia sorridente del globo, si rimpossessa esplicitamente di ciò che le appartiene per diritto inappellabile. Le sue ciglia sono i raggi del sole che permette ad un’ombra di apparire sul suolo, monito di una coscienza a cui non si sfugge; le sue mani posano sulla terra e vi penetrano a tratti, quasi a voler rendere fecondo il terreno ed il senno umano, ragione di irragionevole vanto per la specie eletta, popolo d’Israele. E mi pare che la sua pelle non sia altro che un insieme indistinto, scompigliato ed armonico di volti umani, di sbattiti di ciglia lucide. I suoi sogni sono il “cosa voglio fare da grande” di chi si appresta alla vita gettando i primi sguardi curiosi alle dinamiche dei comportamenti, ai paradossi della società; i suoi pensieri sono il “voglio cambiare il mondo” di un ragazzo; le sue paure sono i maledetti ‘conti fatti’ di un uomo di mezz’età; la sua saggezza è il consiglio di chi ha esperienza. Ogni sua movenza è evoluzione armoniosa, in un equilibrio costante tra permesso e negato. Chiaramente nell’ambito del compromesso. La metropoli è l’io al quadrato e l’ego al cubo. Ma è anche la radice quadrata dello spirito e la metà esatta dell’irrazionale.
La metropoli unisce popoli diversi sbattendo in faccia al mondo una gamma infinitamente vasta di differenze che finiscono per renderci non inscrivibili entro una categoria di genere, ma descrivibili come pure, semplici, singole, uniche ed interpretabili entità di un sistema. Come cellule impazzite di un corpo femmineo in mutamento inevitabile, che nel tempo di una distrazione o di un battito d’ali di farfalla non è più lo stesso.

martedì 28 febbraio 2012

Un Volo al crepuscolo della letteratura?

E capita talvolta di sentire persone chiedersi: “ma perché pubblicano i libri di Fabio Volo?”, magari con l’inserimento in questa ancora ben educata espressione di qualche parola di livello più basso. Una prima risposta: perché Fabio Volo vende, piace al pubblico; basti pensare che “Il giorno in più”, uscito nel 2007, è arrivato quasi al milione di copie, pubblicazioni in paperback e edizioni Club del libro comprese, ed è stato tradotto in una decina di lingue, lambendo perfino le coste del mercato turco e albanese. Allora a questo punto la prospettiva cambia, e non incentra più le responsabilità di una simile azione sul nostro poco collaudato sistema editoriale ma le riversa in toto sul marasma dei lettori moderni. Perché al pubblico piacciono i testi di Fabio Volo? Perché sono facili. Perché le parole che l’autore usa le-capisco-tutte-subito-senza-bisogno-di-sforzarmi. Perché parla d’amore, e sai, l’amore infondo infondo ci piace a tutti. Perché rispecchia le mie emozioni standard, non mi costringe a scavare dentro di me, a mettere in discussione i pilastri del mio environment e le mie certezze (sempre che io mi sia ricordato, certo, di nasconderne alcune, negli anni, tra i ricordi e le sinistre abitudini), in un emisfero opposto rispetto alla celebre ricerca di ‘emotion recollected in tranquillity’ di romantica memoria. Perché quel libro lì l’avrei potuto scrivere anche io se al posto del lavoro che faccio facessi “quello che parla alla radio”, ma non è così e quindi, va bene, riempimi pure la testa con le tue riflessioni, con i tuoi stimoli di scarso valore tanto le alternative che mi si propongono (televisione in primis) non assurgono a valori psicologici-culturali di gran lunga più elevati.
Ebbene, non si può non cogliere come tali abitudini e tali affermazioni siano il frutto malato della manovra operata negli anni ’50 verso quella che nel gergo tecnico i letterati chiamano democratizzazione letteraria, o abbiano per lo meno dei legami con essa. Non c’è da spaventarsi di fronte a una situazione del genere, perché questo non è altro che il naturale sviluppo di un processo che, iniziato ormai due secoli fa con l’avvento del romanzo stesso come genere letterario dominante, giunge oggi a mostrarci la sua faccia meno piacevole. E questa faccia assume la fisionomia di sentimenti senza spessore coniugati in parole poco pesate, di sfacciataggine e banalizzazione di argomenti su cui l’uomo (e in particolare l’uomo nella sua versione ‘artista’) medita dalla notte dei tempi,  suscitando l’indignazione di quelli che potremmo chiamare snob delle lettere (categoria ben diversa da quella degli intellettuali). Ma lo sviluppo del sistema letterario non poteva che seguire questa strada: se un super-io sociale consente a tutti di accedere alla scolarizzazione, di imparare a confrontarsi per lo meno con i testi più semplici, e guida il gusto della collettività verso l’associazione dell’oggetto libro con qualcosa di piacevole, da cui trarre un qualche beneficio, questo pubblico va poi sfamato. Ed è un pubblico quanto mai diversificato al suo interno; abbiamo voluto l’educazione minima per tutti, ma non possiamo volere adesso che tutti raggiungano uno stesso livello di conoscenza, o ancor peggio voler piegare a tutti i costi il gusto di tutto il pubblico, perché qui entriamo nel campo delle libertà individuali e questo campo è innegabilmente inviolabile. Dunque quale sarebbe l’atteggiamento migliore da tenere nei confronti di questo tipo di pubblicazioni, di cui le opere di Fabio Volo si ergono ad emblema di una più ampia vastità di libri? Io credo sia, almeno per quanto concerne chi solitamente si indigna di fronte a questi testi, un freddo astensionismo, accompagnato dal riconoscimento che, seppur nei suoi limiti, questa produzione può apportare un qualche vantaggio. In primo luogo, il vantaggio è di tipo economico: le case editrici sono sì tra i maggiori enti detentori del sapere culturale, ma esse sono indubbiamente anche delle attività di tipo aziendale, e in quanto tali seguono la logica della vendita, dell’accumulazione di denaro e sono naturalmente condotte a favorire la pubblicazione di opere dal successo di pubblico garantito. Secondariamente, non è detto che chi comincia a leggere partendo da questa branca marginale della nostra letteratura non possa poi risalire nel suo livello di lettura per imparare poi, con i suoi tempi, ad apprezzare e ad accostarsi ad una produzione libraria di più grande valore. Dunque l’importante è, in fin dei conti, evitare di relegarsi dietro preconcetti e ‘automatismi della mente’, cercando il più possibile di salvaguardare quanto di prezioso vi è nella nostra cultura, senza però demonizzare spropositamente forme di letteratura la cui nascita è del tutto fisiologica. E probabilmente ancor più importante è mantenere la propria capacità di giudicare e di scegliere.

sabato 25 febbraio 2012

LA DONNA EMANCIPATA SULLA PASSERELLA DI ERMANNO SCERVINO



Musica stile Carmina burana versione rimodernata, fortemente ritmata ed elettrizzata, passerella specchio, bagliori blu notte che aprono squarci di luce nel buio totale. E poi vestali dai capelli raccolti che fuoriescono rapide e sicure su tacchi vertiginosi da un argenteo cancello a motivi floreali. È questa, nei suoi tratti essenziali, la scenografia pensata dagli architetti per l’ultima sfilata di Ermanno Scervino, che in un’atmosfera onirica presenta la sua collezione autunno/inverno 2013 tra gli applausi di un pubblico nuovamente stupefatto dalle sue abili creazioni.
Apre la sfilata un’impeccabile Bianca Balti, splendida amazzone in un corsetto verde foresta che preannuncia fin dall’inizio il fulcro della collezione: è il punto vita, alto e ben delineato, ad essere posto al centro dell’elaborazione creativa dello stilista. Uno dopo l’altro si avvicendano sulla passerella i capi d’alta moda progettati da Scervino, che per questa collezione ha attinto spunti dalla Venezia settecentesca e dall’Inghilterra dell’Hempshire; alle tonalità scure, con verdi cupi e varie declinazioni del castano, dal cuoio al testa di moro, seguono poi le gradazioni del bianco e dei grigi che si esprimono in cappotti in lana con inserti in pelliccia e che si interrompono per cedere il passo alla comparsa di un rosso fragola che stupisce senza essere stucchevole.
Ai primi cap indossati a coronamento di una moda donna che si vuole richiamare al mondo equestre - la cui influenza è perfettamente visibile nella scelta di pantaloni larghi sui fianchi ma con una chiusura aderente sulla caviglia -  senza però perdere la propria femminilità, seguono i fiocchi di seta che chiudono sapienti acconciature voluminose anni ’20, abbinate ad abiti da sera sensuali nelle loro trasparenze, che elogiano il corpo di una donna emancipata capace però di non perdere la sua classe. Eleganza senza austerità dunque, linee morbide sulla vita, che a tratti disegnano increspature di seta, ma rigide nei corpetti, in un connubio di successo che conferma ancora una volta la ricercatezza stilistica di Scervino, capace di fondere abilmente richiami diversi coniugando la tradizione al futuro.
"Questa collezione è una delle più impegnative - confida Ermanno che veste Angelina Jolie e Sharon Stone - perché sono andato oltre la nostalgia per proiettarmi in un universo di seduzione emancipata. Nel mondo non ci potrebbe essere emancipazione senza le donne!".











































martedì 21 febbraio 2012

DAL LIBRO STAMPATO AL TABLET: UNA NUOVA RIVOLUZIONE NEL MONDO DELLA LETTURA

La storia della stampa e della lettura si appresta a compiere un nuovo, grandioso passo verso la modernità. O forse sarebbe meglio parlare di un salto nel vuoto oltre i confini  della lettura fino ad oggi conosciuti, di una rivoluzione ormai dietro l’angolo che probabilmente cambierà parte delle nostre abitudini. Di drastici cambiamento ed inversioni di tendenza le storie della stampa e della lettura ne sono davvero piene: siamo passati dalla copia manoscritta alla stampa con torchio meccanico, dalla lettura collettiva e ad alta voce ad una più privata, silenziosa ed intima, tipica della modernità, da una diffusione del libro elitaria e ristretta ad una più democratica, suggellata definitivamente dalla comparsa delle dispense e dei testi tascabili che hanno consentito e consentono oggi a chiunque di attingere al pozzo culturale dell’Olimpo letterario senza spendere cifre enormi. Naturalmente, rivoluzioni di questa portata si spalmano su un ventaglio di secoli che si contano almeno su due mani e vanno pensate sempre in riferimento a cambiamenti drastici realizzatisi a livello sociale ed economico che hanno determinato l’insorgere di  nuove mentalità ed esigenze. E da qui, ancora una volta, riprende la sua via d’azione il progresso. Il libro a stampa, per quando conveniente nel prezzo, facilmente trasportabile e curato nella sua produzione materiale sembra non bastare più; nell’era della tecnologia, della telematica, delle telecomunicazioni anche il libro si deve evolvere (o forse piegare?) alle ragioni dell’informatica. Centinaia di pagine cartacee cominciano ad essere se non sostituite per lo meno affiancate ad altrettante pagine digitali che scorrono agilmente sullo schermo di un leggero e comodo tablet. Ingenuamente si potrebbe pensare che niente cambierà, che è soltanto il mezzo ad essere modificato ma che nella sostanza non ci saranno grosse variazioni nelle nostre abitudini di lettura, ma ad una riflessione più attenta si può notare che invece l’introduzione degli e-book modificherà, e sta già modificando, il nostro modo di leggere, dal punto di vista sia intensivo che estensivo. Di sicuro tante ragioni, soprattutto di tipo economico, stanno dalla parte dell’innovazione tecnologica: acquistando un tablet si ha la possibilità di portarsi dietro ovunque si vada una biblioteca potenzialmente infinita tutta raccolta in pochi grammi di peso, si possono comprare a pochi euro tanti testi diversi, che conservati in una memoria digitale non sono sottoposti all’usura del tempo. Ma un cambiamento così gigantesco produce chiaramente le sue ombre ed è in queste ombre che si rintraccia il classico rovescio della medaglia. Innanzitutto sono ancora da dimostrare gli effetti che produce sull’attenzione la lettura a schermo, con l’illuminazione del video che sicuramente ha delle conseguenze sulla concentrazione e sulla vista. Inoltre, ogni libro viene proposto nella lettura via tablet in una versione e con “allestimenti interni” differenti rispetto a ciò che accade con il testo classico. La pagina pulita di un testo a stampa è molto diversa da quella di un libro scaricato da internet, cosparso di link e rimandi a pagine collaterali e affini che, per quanto utili per ampliare le conoscenze personali e saziare la nostra curiosità di collegare, per esempio, determinate descrizioni ad immagini o a riferimenti ad autori, movimenti, periodi storici, avvenimenti particolari, indubbiamente distolgono la nostra attenzione dal testo in sé, portandoci in molti casi a perdere il filo del discorso o addirittura a non cogliere determinati aspetti di un’opera perché distratti da questi sentieri complementari ma secondari.
Insomma, un rischio c’è, ed è tangibile e reale. Un rischio c’è, ed è di tipo qualitativo, alludendo alle perdite di soddisfacimento del proprio immaginario estetico che una lettura di questo tipo, così variegata e dispersiva, comporta.
Ovviamente poi su un discorso di questo tipo non può che intervenire la relatività che nulla rende assoluto e definitivo. È chiaro che vi sono lettori e lettori, persone con esigenze e capacità di attenzione molto diverse, le cui aspettative possono essere soddisfatte più da un tablet che da un libro cartaceo o viceversa. E altrettanto ovvio è il fatto che il progresso sia inarrestabile. Ma una capacità di giudizio critico va sempre mantenuta ai fini della propria tutela, per preservarsi da quell’oro spesso non reale che sporca soltanto le dita, per non sottomettere le esigenze umane ed interiori a quelle dell’economia e per affermare nuovamente la propria indipendenza mentale.