La metropoli
è una donna discinta sdraiata su un fianco, con gambe leggermente inarcate e
braccia spiegate come ali al vento. Ella indossa un abito leggero e sfuggente,
di quel colore che ancora non ha nome (come poche cose su questa terra e nello spazio compreso tra sassi e cielo – lo
spazio dell’anima, s’intende), che si ottiene come per un’alchimia di gesti,
sguardi, movimenti, aspettative e curiosità quando da piccoli si mescolano
insieme, velocemente, con un pennello da pochi centesimi, tutti i fluidi
colorati delle proprie tempere, un grigio violastro che non si potrebbe
definire azzurro ma che non è neppure castano, a ben guardare. I capelli di
questa donna addormentata sono le vie, i sentieri, i percorsi, i passaggi, i
ponti, le scorciatoie, le strade intricate e non, le rotaie rosso rame e rosso
ruggine di una ferrovia; i suoi fianchi segnano il confine indefinibile del
mondo abitato, il bordo oltre il quale l’uomo sapiens con la sua scienza
statica ed esatta e i suoi calcoli perfetti smette di dettare le proprie leggi
e la natura, dea madre di ogni animato agglomerato di battiti/occhi/sogni/paure
scorrazzante sulla faccia sorridente del globo, si rimpossessa esplicitamente
di ciò che le appartiene per diritto inappellabile. Le sue ciglia sono i raggi
del sole che permette ad un’ombra di apparire sul suolo, monito di una
coscienza a cui non si sfugge; le sue mani posano sulla terra e vi penetrano a
tratti, quasi a voler rendere fecondo il terreno ed il senno umano, ragione di
irragionevole vanto per la specie eletta, popolo d’Israele. E mi pare che la
sua pelle non sia altro che un insieme indistinto, scompigliato ed armonico di
volti umani, di sbattiti di ciglia lucide. I suoi sogni sono il “cosa voglio
fare da grande” di chi si appresta alla vita gettando i primi sguardi curiosi
alle dinamiche dei comportamenti, ai paradossi della società; i suoi pensieri
sono il “voglio cambiare il mondo” di un ragazzo; le sue paure sono i maledetti
‘conti fatti’ di un uomo di mezz’età; la sua saggezza è il consiglio di chi ha
esperienza. Ogni sua movenza è evoluzione armoniosa, in un equilibrio costante
tra permesso e negato. Chiaramente nell’ambito del compromesso. La metropoli è
l’io al quadrato e l’ego al cubo. Ma è anche la radice quadrata dello spirito e
la metà esatta dell’irrazionale.
La metropoli
unisce popoli diversi sbattendo in faccia al mondo una gamma infinitamente
vasta di differenze che finiscono per renderci non inscrivibili entro una
categoria di genere, ma descrivibili come pure, semplici, singole, uniche ed
interpretabili entità di un sistema. Come cellule impazzite di un corpo femmineo
in mutamento inevitabile, che nel tempo di una distrazione o di un battito
d’ali di farfalla non è più lo stesso.
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