martedì 28 febbraio 2012

Un Volo al crepuscolo della letteratura?

E capita talvolta di sentire persone chiedersi: “ma perché pubblicano i libri di Fabio Volo?”, magari con l’inserimento in questa ancora ben educata espressione di qualche parola di livello più basso. Una prima risposta: perché Fabio Volo vende, piace al pubblico; basti pensare che “Il giorno in più”, uscito nel 2007, è arrivato quasi al milione di copie, pubblicazioni in paperback e edizioni Club del libro comprese, ed è stato tradotto in una decina di lingue, lambendo perfino le coste del mercato turco e albanese. Allora a questo punto la prospettiva cambia, e non incentra più le responsabilità di una simile azione sul nostro poco collaudato sistema editoriale ma le riversa in toto sul marasma dei lettori moderni. Perché al pubblico piacciono i testi di Fabio Volo? Perché sono facili. Perché le parole che l’autore usa le-capisco-tutte-subito-senza-bisogno-di-sforzarmi. Perché parla d’amore, e sai, l’amore infondo infondo ci piace a tutti. Perché rispecchia le mie emozioni standard, non mi costringe a scavare dentro di me, a mettere in discussione i pilastri del mio environment e le mie certezze (sempre che io mi sia ricordato, certo, di nasconderne alcune, negli anni, tra i ricordi e le sinistre abitudini), in un emisfero opposto rispetto alla celebre ricerca di ‘emotion recollected in tranquillity’ di romantica memoria. Perché quel libro lì l’avrei potuto scrivere anche io se al posto del lavoro che faccio facessi “quello che parla alla radio”, ma non è così e quindi, va bene, riempimi pure la testa con le tue riflessioni, con i tuoi stimoli di scarso valore tanto le alternative che mi si propongono (televisione in primis) non assurgono a valori psicologici-culturali di gran lunga più elevati.
Ebbene, non si può non cogliere come tali abitudini e tali affermazioni siano il frutto malato della manovra operata negli anni ’50 verso quella che nel gergo tecnico i letterati chiamano democratizzazione letteraria, o abbiano per lo meno dei legami con essa. Non c’è da spaventarsi di fronte a una situazione del genere, perché questo non è altro che il naturale sviluppo di un processo che, iniziato ormai due secoli fa con l’avvento del romanzo stesso come genere letterario dominante, giunge oggi a mostrarci la sua faccia meno piacevole. E questa faccia assume la fisionomia di sentimenti senza spessore coniugati in parole poco pesate, di sfacciataggine e banalizzazione di argomenti su cui l’uomo (e in particolare l’uomo nella sua versione ‘artista’) medita dalla notte dei tempi,  suscitando l’indignazione di quelli che potremmo chiamare snob delle lettere (categoria ben diversa da quella degli intellettuali). Ma lo sviluppo del sistema letterario non poteva che seguire questa strada: se un super-io sociale consente a tutti di accedere alla scolarizzazione, di imparare a confrontarsi per lo meno con i testi più semplici, e guida il gusto della collettività verso l’associazione dell’oggetto libro con qualcosa di piacevole, da cui trarre un qualche beneficio, questo pubblico va poi sfamato. Ed è un pubblico quanto mai diversificato al suo interno; abbiamo voluto l’educazione minima per tutti, ma non possiamo volere adesso che tutti raggiungano uno stesso livello di conoscenza, o ancor peggio voler piegare a tutti i costi il gusto di tutto il pubblico, perché qui entriamo nel campo delle libertà individuali e questo campo è innegabilmente inviolabile. Dunque quale sarebbe l’atteggiamento migliore da tenere nei confronti di questo tipo di pubblicazioni, di cui le opere di Fabio Volo si ergono ad emblema di una più ampia vastità di libri? Io credo sia, almeno per quanto concerne chi solitamente si indigna di fronte a questi testi, un freddo astensionismo, accompagnato dal riconoscimento che, seppur nei suoi limiti, questa produzione può apportare un qualche vantaggio. In primo luogo, il vantaggio è di tipo economico: le case editrici sono sì tra i maggiori enti detentori del sapere culturale, ma esse sono indubbiamente anche delle attività di tipo aziendale, e in quanto tali seguono la logica della vendita, dell’accumulazione di denaro e sono naturalmente condotte a favorire la pubblicazione di opere dal successo di pubblico garantito. Secondariamente, non è detto che chi comincia a leggere partendo da questa branca marginale della nostra letteratura non possa poi risalire nel suo livello di lettura per imparare poi, con i suoi tempi, ad apprezzare e ad accostarsi ad una produzione libraria di più grande valore. Dunque l’importante è, in fin dei conti, evitare di relegarsi dietro preconcetti e ‘automatismi della mente’, cercando il più possibile di salvaguardare quanto di prezioso vi è nella nostra cultura, senza però demonizzare spropositamente forme di letteratura la cui nascita è del tutto fisiologica. E probabilmente ancor più importante è mantenere la propria capacità di giudicare e di scegliere.

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